Come raggiungere gli obiettivi terapeutici prefissati? Come chiudere gestalt aperte e irrisolte? Cosa ti accadrà in concreto, caro visitatore, nelle sedute che deciderai di affrontare con me?
Voglio illustrarti alcune modalità di intervento, alcune tecniche, alcune esperienze.
Con la cosiddetta “Teoria Paradossale del Cambiamento” cercherò di mostrarti una cosa solo apparentemente contraddittoria, in realtà assai ovvia: essere ciò che sei, prima di essere in qualsiasi altro modo. E’ nel momento in cui ti accetti così come sei che tu diventi capace di innescare una trasformazione.
Per raggiungere il punto B, cioè cambiare, migliorare, guarire, devi accettare di posizionarti nel punto A; né più né meno come fa il nostro navigatore GPS, all’interno del quale devi introdurre i dati sulla tua posizione attuale, oltre all’indirizzo di destinazione. Molti di noi non accettano di riconoscere questa posizione attuale, rifiutano di sentirsi collocati nel loro punto A, cioè nelle loro reali condizioni di esistenza. Spesso ci si sforza, con grande dispendio di energia, di migliorarsi senza accettarsi, mentre invece il primo passo verso il cambiamento e il perseguimento di quello che possiamo essere, è diventare consapevoli della nostra realtà, anche se quello che sperimentiamo ci spaventa, ci delude ed è sgradevole. Il nevrotico – tu, io, tutti noi in certa misura lo siamo – si scolla dal qui ed ora, oscilla rifugiandosi nel passato o nelle preoccupazioni riguardo al futuro; nasconde a sé stesso certi aspetti della sua vita che procurano più angoscia, si paralizza, si anestetizza, agisce nel corpo i propri conflitti, si irrigidisce, si auto-controlla, è intrappolato nei pensieri, non dà spazio e voce alle emozioni. In tal modo può mantenere la situazione così com’è, perché apparentemente questa è la via più facile e
rassicurante. Ammettiamolo, come direbbe S. Mazzei “soffriamo per non soffrire”. Oppure ci rispecchiamo tutti, chi più chi meno, in quello sconcertante ritratto che C. Naranjo fa del cosiddetto “normopata”: sempre trascinato di qua o di là dall’azione coercitiva e manipolatoria di ideali etero o autoindotti, cioè sempre tentato di essere ciò che non è o ciò che altri pensano che egli dovrebbe essere. Dice Naranjo: “Si tratta di quella normalizzazione forzata delle persone, quella normalità imposta dal sistema o dall’educazione, che finisce col creare un nevrotico tipico della modernità … sottomesso o ribelle, violento o passivo, però sempre non autentico e distante dalla sua vera essenza; e soprattutto, infelice, seminatore di conflitti e disgrazie nel suo ambiente”.
Tecnica della “sedia vuota”
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
Ti sembrerà strano, caro visitatore, ma credimi se ti dico che spesso nelle nostre sedute non saremo solo io e te. Per questo vedrai nella stanza qualche sedia in più, uno sgabello, una poltrona, dove qualcun’altro certamente dovrà sedersi. E’ la cosiddetta tecnica della “sedia vuota”: una sorta di monodramma, in cui ti chiederò di dar voce, uno dopo l’altro, ai personaggi che ti accompagnano, che ti hanno seguito fin lì, forse solo uno, spesso più di uno. Chi sono? Lo scopriremo insieme nel momento in cui ti siederai sulla sedia vuota, vestendone i panni e parlando con onestà. Si può trattare di certi tuoi fantasmi interiori, parti di te che creano conflitti e polarità, identità bambine, il femminile nel tuo maschile e viceversa, i molteplici Mr Hide con cui il tuo io-Jekill ha a che fare, il tuo Top-dog e il tuo Under-dog, cioè il critico torturatore e la sua falsa vittima, e ancora, ombre, specchi, maschere che sono boicottatori, arlecchini, fuggitivi, orfani e angeli custodi. Oppure, farai sedere nella sedia vuota persone reali, che hanno un ruolo significativo nelle tue giornate e con le quali imbastisci una relazione in qualche modo problematica. E infine da quella sedia potranno parlare anche persone del tuo passato, assenti ma mai dimenticate, forse defunte, alle quali c’è ancora molto da dire. E’ un’esperienza stravagante questa delle sedie, ma come forse avrai intuito essa ha una precisa finalità chiarificatrice e catartica: si utilizzano la libertà e la concretezza della teatralizzazione per compiere un processo di integrazione tra tutte le parti messe in scena, per ripristinare un circuito, un sano compromesso, un dinamico equilibrio, il tuo equilibrio.
Linguaggio responsabile
Se con le sedie trasformeremo il nostro colloquio in un dialogo a più voci, sostituendo il “parlare di” qualcuno con il “parlare a” qualcuno e consentendogli poi di rispondere a sua volta, ciò rende manifesta l’importanza che la Gestalt attribuisce al linguaggio. E un lavoro sul linguaggio sarà proprio ciò che continueremo a fare nelle nostre conversazioni, sviluppando un’analisi, una sensibilizzazione, attorno alle parole che saranno pronunciate, alla loro forma e al loro suono. Ci eserciteremo nell’utilizzo di un “linguaggio responsabile”, partendo dalla semplice oggettiva constatazione che la parola non è un involucro sterile, ma crea la realtà che nomina. | ![]() |
In altri termini, il linguaggio che usiamo per comunicare chiarisce il ruolo che occupiamo nel mondo, definisce la responsabilità e il potere che decidiamo di assumere, o di non assumere, in relazione a quanto stiamo dicendo. Da adulti continuiamo a riprodurre meccanismi lessicali appresi fin da bambini, e poi consolidati nelle fasi di crescita successive: abitudinariamente, ci affidiamo ad un certo modo di costruire le frasi, scegliamo certe parole e non altre, attribuiamo certecaratteristiche di flusso, tono e ritmo alle strutture sintattiche con le quali ci esprimiamo. Ad esempio, se riempiamo le frasi di “forse, se, ma” e di forme al condizionale, stiamo decidendo di interpretare il ruolo di vittima, adottando un linguaggio che ci toglie potere e responsabilità; se invece siamo inclini ad interpretare il ruolo del salvatore, diventiamo severi, giudicanti, ci aggrappiamo al senso del dovere riempiendo le frasi di “devo, occorre, bisogna, ho ragione”. Questi enunciati ricorrenti, sono spie rivelatrici e fattori di condizionamento del pensiero che veicolano. Per questo vale la pena individuarli uno ad uno, talvolta rovesciarli nel loro contrario, talvolta smantellarli. Tutti noi abbiamo detto “mi piacerebbe, grazie, ma non posso venire” mentre invece intendevamo “non voglio venire”: quando enunciamo chiaramente la nostra volontà, l’affermazione acquista risonanze ben diverse, che è utile, e sano, esplorare fino in fondo.
Un uso responsabile del linguaggio, vuole farci evitare, per dirla con Perls, le trappole dell’ “intornismo”, del “doverismo” e dell’“intellettualismo”, cioè quel girare intorno al vero oggetto da pronunciare, quel trasformarlo in un’impersonale necessità che mascheri la nostra intenzionalità, o quell’elucubrare filosoficamente su un dato problema senza riferirlo realmente a noi stessi e alle nostre scelte individuali.
![]() Il sogno |
Anche il lavoro sul sogno è considerato dalla Terapia della Gestalt molto utile per lo sviluppo della consapevolezza. Esso è definibile come un lavoro di assimilazione di proiezioni, dato che in Gestalt gli elementi del sogno sono trattati come parti proiettate e frammentate della nostra personalità, di cui è possibile e auspicabile riappropriarci. Non a caso Perls lo definiva “via regia all’integrazione”. Perché se tu hai sognato di fuggire correndo su una strada, nella quale cominci ad affondare sprofondando in essa ad ogni passo, devi sapere che tu sei certamente quel fuggitivo disperato, ma tu sei anche l’asfalto molle e appiccicoso di quella strada, tu sei il lampione spento ai bordi di quella strada, sei il cane rabbioso che forse ti sta inseguendo, e sei perfino l’intera notte che incornicia quella scena e la sovrasta con il suo buio opprimente. Ti chiederò di risognare il tuo sogno immergendoti in esso, facendone una cronaca narrata in tempo reale e in prima persona. Insieme, cercheremo di spingere il sogno in avanti, per farlo accadere un altro po’; ci soffermeremo su alcuni particolari apparentemente marginali; valuteremo il peso di ogni sua parte in relazione a tutte le altre. Ma non avremo la pretesa di oggettivarlo in un’interpretazione definitiva. La Gestalt non tratta il sogno come un testo criptico che è possibile decodificare grazie ad un codice predefinito di rispondenze simboliche universali, valide per tutti. Esso piuttosto va letto e ricostruito come un’esperienza rivelatrice, uno specchio nel quale si riflette la condizione di vita contingente del sognatore, e da cui è opportuno ricavare una sintesi comprensibile, spendibile nel suo vissuto diurno e concreto. La polisemia che contraddistingue ciascun tassello, cioè la molteplicità dei significati che possiamo attribuire ad ogni figura del sognato, va fissata in una risonanza semantica quanto più univoca possibile, e composta in un messaggio utile e personalissimo, ad uso esclusivo del sognatore, che potrà avere la forma di un’ammissione faticosa, |
Chiudere gestalt aperte
Il trattamento del sogno, assieme a numerose altre modalità di intervento, converge spesso verso il raggiungimento di un medesimo obiettivo: la chiusura di una gestalt aperta. Che significa? Significa che dentro di te, dentro di me e, credimi, dentro molte persone, c’è davvero un gran disordine: la vita è passata lasciando cose fuori posto, cassetti aperti, fogli sul pavimento e bicchieri rovesciati, nelle nostre stanze private. Occorre pertanto fare ordine e pulizia, armarsi di buona volontà nonché di una certa dose di coraggio, e girare la maniglia di quelle porte, per riprendere quelle situazioni incompiute e riorganizzarle una volta per tutte. Perls dice che “nella terapia non è attivo ciò che è stato; al contrario è attivo precisamente ciò che non è stato: una deficienza o qualcosa che manca … La situazione incompiuta è il retaggio del passato che rimane nel presente”. La Gestalt ci insegna che la situazione inconclusa polarizza sempre una carica di energia destinata a completarla, di fatto sottraendola, cioè rendendola indisponibile per altri tipi di esperienza. Il mancato completamento della situazione precedente, definibile come un unfinished business, comporta un ripresentarsi reiterato della situazione stessa, una “coazione a ripetere” che condanna l’individuo al tentativo stressante di dare una conclusione soddisfacente a compiti interrotti, mancate risposte, bisogni non appagati, lutti non rielaborati, progetti falliti il cui insuccesso non è mai stato trasformato in un’occasione di apprendimento. Sono queste tensioni, questi sospesi, che interferiscono con il tuo presente, privandoti di vitalità nel momento in cui ti confronti con contesti nuovi e nuovi bisogni. La terapia gestaltica dovrà aiutarti a recuperare questi vissuti, a dare ad essi una collocazione e un significato accettabili dentro di te. Solo così essi potranno essere assimilati e costruire nuove parti di te, che ora inizieranno a sostenerti.
Enneagramma
Tra gli strumenti del mio mestiere, potrei utilizzarne uno assai particolare denominato Enneagramma. Per dirla in breve, con esso ti verrà offerto un potente strumento di rispecchiamento e di autoconoscenza attraverso l’individuazione del tuo carattere. Come ricorda C. Naranjo, il temine carattere deriva dal verbo greco charàssein che significa “scolpire”: esso si riferisce a ciò che rimane costante nella persona perché le si è scolpito dentro, attraverso i condizionamenti comportamentali, emotivi e cognitivi. Nello schema dell’Enneagramma, esistono 9 caratteri fondamentali, ognuno dei quali ha 3 varianti a seconda che predomini in essi l’istinto di auto-conservazione, la pulsione sessuale o la tendenza alla socialità. Si ottengono dunque 27 sottotipi, che derivano dalla combinazione dei 9 enneatipi con le 3 varianti. Dinanzi a questa folla di profili psicologici, si tratterà di contattare quell’identità che più ti appartiene, poiché essa ti racconterà come e perché si è strutturata in quella forma in relazione all’ambiente, e soprattutto ti descriverà i tuoi meccanismi di protezione, di adattamento e di boicottaggio, i tuoi automatismi nevrotici. Chiunque riconosca pienamente il proprio asservimento ai bisogni nevrotici, dice Naranjo, avvertirà un desiderio di liberarsene, e aggiunge che “la verità su di noi può renderci liberi”: l’intuizione profonda di ciò che facciamo e del modo in cui lo facciamo, trasforma le nostre vecchie risposte in strategie stolte e superflue che potranno facilmente essere abbandonate.
Dialoghi del corpo
Voglio infine accennarti un altro ambito di intervento nel quale probabilmente tu e io dovremo condurre un lavoro di ascolto, di esplorazione e di comprensione: la sintomatologia corporea, i disturbi somatici specifici, che eventualmente avrai sviluppato e registri nel tuo corpo. Si tratterà di entrare in contatto con questi sintomi e colloquiare con essi, secondo l’approccio dei “dialoghi del corpo” della dott.ssa A. Schnake. Allacciare un dialogo gestaltico tra l’organo malato e il paziente stesso, in cui l’organo diventa un’entità da interpellare e con la quale interagire; anche il terapeuta prende parte attiva allo scambio dando voce all’organo, in modo tale che esso si presenti, descriva la sua forma, la sua posizione e il suo funzionamento. Poiché i sintomi parlano, e lo fanno sensatamente; sono le voci con cui il nostro corpo si esprime e ci invia dei messaggi. Quando si impara a leggerli, si scopre che questi messaggi sono molto precisi, densi di implicazioni relative alla nostra vita passata e presente, e sono strettamente legati alle qualità funzionali degli organi malati che si fanno sentire. Essi hanno caratteristiche anatomiche e fisiologiche ben definite, che possono essere tradotte in meccanismi e tratti di personalità altrettanto peculiari: con questi aspetti caratteriologici la persona è portata a confrontarsi, per verificare se li riconosce consapevolmente, se li accetta, li manifesta, o piuttosto se li rifiuta, li attenua o li censura rigidamente, nelle dinamiche della sua vita reale. Il corpo sei tu: detto gestalticamente, tu non hai un corpo, tu sei il tuo corpo; verità ovvia ma spesso dimenticata o travisata. Tu sei il tuo stomaco, i tuoi denti, il tuo apparato muscolare; tu sei la tua pelle e l’organo percettivo della vista; … Ciò significa che, proiettando questa verità al tuo intero organismo, tu stai anche parlando attraverso il tuo mal di testa, il tuo dolore reumatico, la tua sindrome da colon irritabile e il tuo calcolo renale. Occorre superare ogni tradizionale distinzione tra mente (psiche) e corpo (soma), che altro non è che un artificio, una sovrastruttura culturale consegnata alla contemporaneità da secoli e secoli di storia del pensiero, della morale e della religione. |
![]() |
Altre esperienze
Accanto a queste pratiche, che mi sembrava opportuno descriverti più in dettaglio, ti proporrò una serie di altre esperienze, che di volta in volta potranno rendersi necessarie per focalizzare, amplificare, esternare i tuoi vissuti: autobiografia emozionale, fantasie guidate, fiabe, metafore, archetipi e mitologie, tecniche ridecisionali, tecniche espressive (produzioni scritte, grafiche e plastiche), esercizi di consapevolezza, stimolazioni audio-visive (musiche e video) che attivino l’emisfero cerebrale destro, utilizzo di oggetti simbolici. E altro ancora.